di Nello Serra
Come perle preziose, accenniamo a poche, ma esemplari storie di vita, svoltesi negli anni all’interno della cooperativa. Non che non ve ne siano altre, ma hanno bisogno di tempi lunghi per poter essere portate alla luce, per l’alto contenuto drammatico, come la storia di un gruppo di minori rimasti senza genitori ai quali si è dato l’aiuto anche a elaborare il lutto ecc.
Mi piace presentarle con le di una poetessa americana, Emily Dikinson, che in vita sua non pubblicò nessuna poesia: “Se posso impedire che un cuore si spezzi, io non avrò vissuto invano. Se posso alleviare le sofferenze di una vita o placare un dolore, o aiutare un pettirosso tramortito a ritrovare il suo nido, io non avrò vissuto invano”. Ecco mi sento, ci sentiamo, in questa poesia.
La storia di GIUSI
Tra le storie edificanti ed emblematiche, maturate all’inizio del primo decennio del 2000 e senza entrare nel merito dei rapporti familiari, che vanno rispettati nella loro privacy, la prima è quella di Giusi, allora 17enne, che varcò il portone del nostro palazzo antico, scegliendolo come propria dimora, volendo sfuggire a una situazione che non le era confacente.
Ragazza dotata di una forte volontà di cambiamento, non solo di status sociale, ma di modo di essere persona, con delle coerenze, non presenti nella sua famiglia di origine, Giusi ce l’ha messa tutta.
Volendola paragonare a qualcosa, viene in mente una spugna. Come una spugna assorbì tutto ciò che osservava con gli occhi, tutto ciò che ascoltava con le orecchie, facendone da sé una sintesi ed elaborando il necessario “controcopione” familiare, per formarsi una propria personalità. E tutto questo seppe farlo nello spazio temporale di un anno.
A seguirla in questo percorso furono due figure transitorie, la prima è quella dell’autore di questa nota, la seconda di sua moglie Lidia, all’epoca assistente sociale in servizio presso il presidio ospedaliero locale, alcune amiche, soprattutto una di nome Maria, una zia paterna.
A completare la sua formazione, contribuì lo stesso padre, che arrivati a un certo punto della sua vita, prima della sua prematura scomparsa per un brutto male, ebbe il tempo e la capacità di recuperare il rapporto con i figli e con lei.
Tanto importante fu la sua crescita, che rifiutò l’offerta di lavorare e vivere in comunità, aspirando ad avere una casa propria, un lavoro, una famiglia, dei figli, cosa che è riuscita a fare alla grande. Anche se le si fosse offerta una reggia l’avrebbe rifiutata, anche perché voleva salvare due fratelli che avevano bisogno di lei.
Oggi è una moglie e madre felice, una impagabile lavoratrice nell’azienda di famiglia, un ristorante-pizzeria ben avviato.
Non poteva esservi migliore remunerazione per chi l’aiutò.
L’essersene andata, tuttavia, non comportò un abbandono del luogo in cui ha potuto vivere un tratto importante della sua crescita, tutt’altro! E’ sempre presente nei momenti importanti della della comunità, anche nella veste di testimone di un’intervento andato a buon fine.
A Giusi ho chiesto l’autorizzazione a pubblicare questo racconto succinto del suo passaggio in comunità, quando ancora la comunità non c’era, non vi era personale e sede adeguata. Questa è stata la sua risposta: “Nello, è un racconto perfetto che raccoglie a pieno significato il mio passaggio lì che è stato il trampolino di lancio per la mia salvezza. Sarò grato a te e Lidia sempre. Ma io ci ho messo tutte le forze che avevo. E non rimpiango nulla, nemmeno di aver avuto disagi familiari, perché proprio questo mi ha portato a essere ciò che sono. La vita mi ha messo a dura prova e io ho lottato uscendone vittoriosa”.
SYLWIA
Pensare a SYLWIA riemerge chiaro il ricordo di chi mi chiamò perché l’aiutassi: il sacerdote Nicola Montalto, a cui sono grato per l’aiuto nella fase iniziale della raccolta fondi per creare la casa.
La ragazza aspettava un bambino e cercava qualcuno che l’aiutasse ad affrontare la gravidanza, non avendo a fianco, in quel momento, il compagno da cui aspettava il bambino.
Il suo animo era colmo di rabbia, delusione, paura, amarezza e tristezza infinita.
L’aiutammo a superare il brutto momento, avviando la giusta mediazione familiare, facendo scattare, innanzitutto, la sensibilità nella madre del giovane. A bimbo nato, tornò anche il giovane padre dalla città in cui era emigrato, ormai guarito dalla paura della paternità precoce, che lo riconobbe e si attivò per assumersi la responsabilità di padre e futuro marito.
La storia bella di questi due giovani è esemplare per l’impegno che ci hanno messo a crescere come persone e come genitori di un ragazzo ormai maggiorenne e in procinto di concludere gli studi superiori, e di una ragazza che gli studi superiori li ha appena iniziati.
E’ vissero felici e contenti come nelle favole? La vita reale non è mai una favola, anche per chi ha la strada spianata dalla famiglia. Se pensiamo alla vita reale, essa pone problemi di ogni genere, soprattutto se si vive in grandi città, come loro con grandi problemi, dal caro affitti, al caro vita, alla delinquenza che svaligia gli appartamenti quando si va in ferie, come è capitato a loro, non è una favola.
Se guardiamo, invece, a come hanno saputo affrontare il loro viaggio lo è senz’altro, Sylwia è stata una madre coraggio fantastica e anche suo marito, non è stato e non è da meno, quando rinfrancato tornò da lei.
Sylwia commenta: Caro Nello, è tutto stupendo e tutto mi va bene. Hai riassunto tutto bellissimo. Wow. Grazie
VALENTINA
Tra le storie belle e significative è da annoverare quella con una giovane studentessa del profondo Nord (Bergamo Bassa), di segno diverso dalle precedenti. Non una storia di ragazze in difficoltà, bensì, l’affacciarsi sulla scena di una giovane curiosa di conoscere il mondo, desiderosa di fare esperienze di volontariato, in realtà disposte ad ospitarla come la nostra.
Il suo impatto con noi si rivelò talmente positivo da far registrare non una venuta episodica, ma tanti viaggi, nel tempo, e non solo ad Acri, ma anche a Pieve Emanuele (MI), dove per sette anni prendemmo parte ad una manifestazione presso la “Magna Grecia”, un’associazione di calabresi. Lei era sempre “attiva, mai distratta, sempre attenta a soddisfare le domande e le richieste dei visitatori del nostro stand.
Quel che più mi colpì di lei era l’intelligenza, che unita all’attaccamento allo studio, ne faceva una studentessa modello sin dalle superiori.
Nel suo percorso di crescita vi fu un momento delicato, quello in cui si trattava di scegliere la facoltà universitaria cui iscriversi e avendo conquistato un posto nelle graduatorie sia alla facoltà di medicina (a Brescia) che in neuro psico motricità a Pavia, aveva l’imbarazzo della scelta.
Io e mia moglie Lidia cercammo di convincerla a iscriversi a medicina, con argomentazioni non classiste di carriera e prestigio sociale, piuttosto spiegandole che la professione di psicomotricista era ancora più impegnativa di quella di medico. Per farle vedere che problematiche avrebbe potuto trovarsi ad affrontare le facemmo vedere “Il mio piede sinistro”, un film altamente drammatico, ma lei scelse, comunque, di iscriversi a Pavia.
Scelse Pavia, ma, forse qualcosa del nostro incitamento ad avere fiducia nelle sue capacità e sensibilità, la convinse, l’anno successivo, a rifare il test per medicina che, ovviamente, superò con la brillantezza dell’anno precedente. Ma fece di più, vinse un altro posto, sempre in medicina, nella versione inglese, per essere più sicura di entrare.
E così fu che si laureò in medicina nei tempi canonici senza sforare. Come tutti sanno, dopo la laurea è prevista la specializzazione è anche qui fece il bis, classificandosi sia a Brescia (per anestesia) che in Svizzera (a pediatria).
Anche qui c’era da effettuare la difficile scelta e le consigliammo di accettare il posto in Svizzera, e meno male, se si pensa alla crisi attuale del sistema sanitario italiano, dove i medici sono i primi a pagare i danni provocati dai tagli.
Anche qui fece la scelta di cui non credo si sia pentita e mai si pentirà, è prossima al completamento dell’iter, effettuato nei nosocomi dei Cantoni svizzeri, che gli conferirà il titolo di dottore in pedo psichiatria, l’equivalente della laurea in neuropsichiatria infantile! Ne sarà contenta la neuropsichiatra dell’ASL di Acri, dove la portammo per essere aiutata ad orientarsi, tanti anni fa.
E’ una bella soddisfazione se non altro per il fatto che Valentina è la persona giusta al lavoro giusto, per la sua capacità di ascolto e di empatia, elementi che coniugati con lo studio diligente che lei sicuramente ha fatto, possono far la differenza tra un medico qualunque e un medico che onora forse la più importante professione d’aiuto.
Da due anni è anche madre di bellissimo bimbo e non vediamo l’ora di vederlo trotterellare nei nostri campi, giocare con altri bambini e gli anziani della nostra comunità insieme a mamma Valentina e papà Andrea.
Valentina manca da noi da un bel po’ di anni, ma molto spesso riceviamo un suo generoso bonifico, segno che, con il suo cuore generoso, da qui non se ne è mai andata, e mai se ne andrà.
La risposta di Valentina: E’ bellissimo davvero, grazie, sei troppo generoso! E’ un onore per me leggere queste righe, sono lusingata.
Venire ad Acri mi ha aiutato a conoscere me stessa, trovare la mia strada e trovare anche te e Lidia. Per fortuna che dopo la prima notte in cui ero spaventata te l’ho detto e avete trovato un’ottima soluzione perché restassi serenamente, pensa cosa avrei perso. Rimarrete sempre nei miei ricordi, che ho anche scritto sulla mia tesina del liceo, sostenuta da voi, su Don Milani.
Valentina al suo arrivo alla stazione di Paola nel 2009